Di seguito un pezzo del buon Ricolfi. E pensare che certi incapaci senza pudore pensano persino di ripresentare l'obeso bolognese. Senza pudore. Un destino da perdenti.
Orgoglio e castigo degli dei
LUCA RICOLFI
Non ho la minima idea di come andrà a finire, ma mi sono fatto un’idea del perché sia andata così. Se Prodi è caduto, e ha così poche possibilità di rialzarsi onorevolmente, non è per le ragioni che in queste ore invocano i suoi compagni di strada. Secondo alcuni il governo è caduto per una congiura del Vaticano (Andreotti), degli Usa (Cossiga) e della Confindustria (Pininfarina). Per altri è caduto perché la sinistra radicale ha tirato troppo la corda. Per altri ancora perché a tirare troppo la corda sono stati i riformisti.Invece, secondo me, sono stati gli dei a disarcionare l’Unione e il suo leader. Che Prodi potesse cadere in qualsiasi momento lo sapevamo da sempre, visto che al Senato l’Unione ha perso le elezioni e sopravvive solo grazie alla buona volontà di alcuni senatori «speciali» (a vita, o eletti all’estero). Che ciò prima o poi sarebbe avvenuto, invece, si è cominciato a capirlo dal comportamento dell'Unione, che fin dal primo giorno di governo ha assunto un atteggiamento politico sgradito agli dei. Meglio: ha assunto l’unico atteggiamento che fa andare su tutte le furie gli dei. Purtroppo non esiste una parola italiana per designare questo atteggiamento, ma nel mondo greco - in cui ancor oggi gli dei pagani si ostinano ad abitare - quella parola c’è, e si chiama hybris.Hybris è una parola intraducibile, che significa orgoglio, arroganza, sfida, incapacità di accettare la propria finitudine. Prodi sapeva perfettamente di aver pareggiato, e non vinto le elezioni. Sapeva che per sopravvivere al Senato doveva cercare alleanze. Sapeva che il famoso programma dell’Unione era un documento ambiguo, pieno di bei principi, poverissimo di idee nuove, e del tutto privo di concretezza, ossia di impegni chiari, ben definiti, vincolanti. Che fare, a quel punto? Prodi poteva seguire il consiglio che gli davano alcuni, e cercare fin da subito un allargamento della maggioranza. Questa via è sempre stata rifiutata recisamente da (quasi) tutti i leader di centro-sinistra, in base a una lettura muscolare del bipolarismo: chi vince, anche per un solo voto, ha il diritto-dovere di governare con le proprie forze per tutta la legislatura.Alternativamente Prodi poteva affittare una reggia, rinchiudere i suoi (senza viveri) in un grande salone, e buttar via le chiavi pronunciando poche ma sentite parole: non uscirete di qui fino a quando non vi sarete messi d’accordo su un’interpretazione precisa e vincolante delle 281 pagine del programma. Prodi poteva anche fare una terza cosa. Riunire i suoi e dire: l’interpretazione autentica la do io (dopo tutto sono il leader), i ministri li scelgo io, se non vi va bene trovatevi un altro leader. Non ci sarebbe stato nulla di strano e la maggior parte degli elettori di sinistra avrebbe ammirato il suo coraggio, e sarebbe stato dalla parte di Prodi (che tutt’oggi, nonostante sia ormai poco amato, ha un consenso personale maggiore di quello del governo che guida).Come sappiamo Prodi non ha fatto nessuna di queste cose. Ha passato un mese a negoziare con i partiti l’organigramma del governo. Ha tradito fin da subito sia la promessa di non moltiplicare i ministeri sia quella di assegnarne un terzo a donne. E con questo metodo, fatto di estenuanti mediazioni, riunioni, documenti, mozioni, contrattazioni sugli aggettivi, i sostantivi e gli avverbi, è andato avanti fino all’altro ieri. Lo spettacolo che ne è venuto fuori, e che il nostro presidente del Consiglio ha il solo (ma fatale) torto di aver tollerato, è quanto di più lontano si possa immaginare dalle aspettative dell’elettore di sinistra, che alla propria coalizione ha sempre chiesto innanzitutto unità, armonia, senso del bene comune, ricevendone ogni sorta di schiaffo: litigi, personalismi, sofismi verbali, ricerca ossessiva di visibilità, perenne divisione sulle scelte importanti, come tasse, mercato del lavoro, pensioni.Tutto questo è tanto più grave, perché - in fondo - qualcosa di buono il governo lo ha pur fatto, o meglio lo ha avviato, specie in materia di liberalizzazioni. Ma l’incapacità di mostrare un volto comune, una direzione di marcia, una missione comprensibile ha fatto evaporare il consenso che Prodi aveva in primavera. Mentre l’orgogliosa rivendicazione dell’autosufficienza della maggioranza ha reso impossibile ogni dialogo con l’opposizione, e quindi anche quell’allargamento delle alleanze che ora - tardivamente e goffamente - persino la sinistra estrema sembra prendere in considerazione. Rinchiusi nel loro fortino, i politici dell’Unione hanno ritenuto di poter galleggiare per una legislatura voltando le spalle al Paese e negoziando soltanto fra loro. E se qualcuno dubitasse che a disarcionarli siano stati proprio gli dei, rifletta sul giorno in cui i quattro senatori fatali hanno attuato i disegni del destino: era il giorno 281, lo stesso numero che si legge in calce all’ultima pagina del programma dell’Unione.
2 commenti:
Io sono amico del darino! :-)
orgoglio, arroganza, sfida, incapacità di accettare la propria finitudine
La parola è strafottenza. Glielo dici te al buon ricolfi?
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